Sentenze di Diritto del lavoro

Illegittima la retribuzione che viola l’art. 36 della Costituzione anche se il CCNL di riferimento è sottoscritto da sindacati maggiormente rappresentativi

Il ricorrente è stato inizialmente assunto con contratto di lavoro subordinato ricevendo tuttavia una retribuzione retribuzione sarebbe alla soglia di povertà assoluta calcolata dall’Istat per i residenti nel Nord Italia. È stato quindi riconosciuto il diritto al lavoratore a percepire una retribuzione proporzionale al lavoro svolto e conforme al principio costituzionale.

MASSIMA: «È noto che nel rapporto di lavoro subordinato la retribuzione prevista dal contratto collettivo acquista, pur solo in via generale, una "presunzione" di adeguatezza ai principi di proporzionalità e sufficienza, che tuttavia non è assoluta e che può, in taluni casi, essere superata ove le circostanze di fatto portino a ritenere che anche la contrattazione collettiva abbia individuato minimi retributivi non rispettosi del dato normativo (…) il cui giudizio di proporzionalità impone una comparazione tra i trattamenti salariali previsti dai diversi CCNL astrattamente applicabili al medesimo settore produttivo, sottoscritti da organizzazioni sindacali parimenti rappresentative e che contemplino qualifiche professionali e mansioni sovrapponibili a quelle svolte dall’appellante.”

Illegittimo il recesso dal patto di non concorrenza, contestualmente alla cessazione del rapporto, da parte del datore di lavoro che è quindi obbligato a pagare quanto pattuito

Il datore di lavoro, contestualmente alla cessazione del rapporto di lavoro, dichiara di recedere dal patto di non concorrenza che aveva fatto sottoscrivere al dipendente al momento dell’assunzione, così sottraendosi dall’obbligo di pagare il relativo compenso all’ex dipendente. Il Giudice ha dichiarato tale recesso unilaterale illegittimo e quindi obbligato il datore a pagare quanto pattuito.

Massima: «la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all'arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative, atteso che la limitazione allo scioglimento dell'attività lavorativa deve essere contenuta - in base a quanto previsto dall'art. 2125 c.c., interpretato alla luce degli artt. 4 e 35 Cost. - entro limiti determinati di oggetto, tempo e luogo, e va compensata da un maggior corrispettivo. Ne consegue che non può essere attribuito al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di caducare l'attribuzione patrimoniale pattuita »

Illegittima la trattenuta sulla pensione a titolo di contributo di solidarietà

La Cassa previdenziale privata ha applicato delle trattenute sulle pensioni dei suoi iscritti a titolo di contributo di solidarietà. Tale trattenuta è stata dichiarata illegittima perché non rientra tra i poteri della Cassa privata disporre tali trattenute essendo prerogativa solo del legislatore.

MASSIMA:«esula dai poteri riconosciuti dalla normativa la possibilità per le Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto, come si è detto, esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un "criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore»

Diritto al riconoscimento del livello superiore e della corrispondente retribuzione

La lavoratrice è stata assunta al IV livello del CCNL applicato. Dopo un periodo di lavoro in cui la lavoratrice ha effettivamente svolto mansioni di questo livello è stata adibita a svolgere mansioni di livello superiore senza tuttavia esserle riconosciuto né il livello tantomeno il corrispondente trattamento economico. Attraverso l’audizione dei testimoni è stato accertato l’effettivo svolgimento da parte della lavoratrice di mansioni superiori a quelle di inquadramento e quindi ad esserle riconosciuto sia il livello superiore sia a ricevere il corrispondente trattamento economico.

MASSIMA: «per l'attribuzione delle mansioni superiori o per il riconoscimento del diritto a un diverso inquadramento, la giurisprudenza della Corte di cassazione abbia affermato che la verifica dello svolgimento delle stesse debba essere condotta attraverso un procedimento logico che prevede tre fasi successive, vale a dire: l'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, l'individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e il raffronto dei risultati di tali due indagini»

Illegittimità del licenziamento e rispetto della tutela obbligatoria di cui all’articolo 9 L. 23/2015

La soppressione del posto di lavoro del ricorrente a seguito di una riorganizzazione interna della società con necessità di riduzione dei costi e del personale è stata dichiarata illegittima dal giudice per insussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, poiché è stato provato che il ricorrente non fosse il dipendente con minore anzianità di servizio. Inoltre la società non ha compiutamente dimostrato che essa fosse nell’impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni e neppure in altre sedi. Con l’illegittimità del licenziamento, si applica alla fattispecie la tutela obbligatoria di cui all’articolo 9 L. 23/2015, ossia il diritto del ricorrente alla corresponsione di una indennità massima di 6 mensilità retributive.

MASSIMA:«L’illegittimità del licenziamento per mancato motivo oggettivo comporta, in tutela obbligatoria, l’applicazione dell’art. 9 L. 23/2015, ossia il diritto alla corresponsione di una indennità non superiore a 6 mensilità retributive».

Accertamento della responsabilità dell’Agenzia delle Entrate a fronte del mancato rimborso IRPEF, a causa dell’erroneo procedimento sulle modalità di pagamento

È stato accertato il mancato rispetto delle procedure da parte dell’Agenzia delle Entrate poiché, a fronte di un importo superiore a euro 999, ha disposto il rimborso in contanti e non tramitel’emissione di un vaglia della Banca d’Italia, anziché con bonifico come da sue stesse procedure interne. Tale inadempienza ha provocato un grave danno al cittadino visto che il pagamento è stato fatto a un soggetto terzo estraneo, sotto esibizione di documenti falsi. Il Giudice di Pace ha riconosciuto la responsabilità dell’Agenzia delle Entrate per non avere rispettato le sue stesse procedure interne e quindi causato la sottrazione dell’assegno al cittadino avente diritto all’incasso, legittimando la ricorrente ad ottenere il risarcimento dei danni.

L’Agenzia delle Entrate è vincolata al rispetto delle procedure previste

L’attrice, vantando un credito di importo pari a euro 1099 nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, ha proposto domanda di rimborso nel rispetto delle procedure indicate dall’Ente. Ciononostante il rimborso è stato disposto, in contanti, in favore di terzi estranei. In tal modo sono state violate le procedure previste dal sito ufficiale della stessa Agenzia delle Entrate che prevede, a fronte di importi superiori a euro 999, ilrimborso con emissione di un vaglia da parte della Banca d’Italia e non, come erroneamente fatto, mediante contanti e divulgando dati sensibili dell’attrice senza inviarle alcun avviso. Pertanto, il giudice di Pace ha dichiarato l’inadempienza dell’Agenzia delle Entrate e la violazione delle procedure previste.

Affinché sussista un licenziamento ritorsivo: il motivo illecito addotto deve essere determinante ed esclusivo

La ricorrente ha proposto ricorso per Cassazione affermando, tra i vari motivi, la sussistenza del licenziamento ritorsivo a seguito della sussistenza di contrasti interni tra la lavoratrice ed il personale religioso gestente la Congregazione. La Corte di Cassazione ha affermato che «in tema di licenziamento nullo perchè ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art.1345 cod. civ. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale». Dal momento che la Corte d’Appello aveva già rilevato la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso (riorganizzazione aziendale), l’indagine sul carattere ritorsivo del licenziamento è risultata superflua in quanto mancante il requisito dell’esclusività.

MASSIMA: «in tema di licenziamento nullo perchè ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 cod. civ. deve essere determinante, deve cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo. Se quindi è presente un giustificato motivo oggettivo di recesso, l’indagine sul motivo illecito è superflua»

Diritto alla retribuzione delle ore non lavorate se la riduzione oraria non è integrata da CIG-COVID19

Un lavoratore assunto con la qualifica di operario inquadrato al III livello CCNL con mansioni di chef, accedeva all’integrazione salariale CIG-Covid19 per alcuni mesi. Rientrato successivamente al lavoro con orario ridotto, sebbene disponibile a prestare servizio a tempo pieno, non riceveva alcunché a titolo di ammortizzatore sociale per le ore restanti. Il ricorso veniva accolto in quanto era dirimente la considerazione che il ricorrente avrebbe avuto diritto a forme di integrazione salariale (CIG e/o FIS), sebbene non abbia percepito alcunché a tale titolo. Pertanto, le somme mancanti per raggiungere il tempo pieno venivano comunque poste a carico dalla convenuta, detratto quanto già percepito dal ricorrente.

MASSIMA: «Il diritto a percepire la retribuzione per il tempo pieno spetta al lavoratore a cui venga imposto l’orario ridotto al rientro da mesi in integrazione salariale CIG-Covid19 senza prevedere alcunché a titolo di ammortizzatore sociale per le ore restanti»

Il titolo novativo prevede l’applicazione della sola aliquota    Irpef

A quanto offerto a titolo transattivo e novativo da una società al lavoratore in via conciliativa, non può applicarsi la tassazione piena e la quota di contribuzione obbligatoria. Il giudice, infatti, rigetta l’opposizione della società e statuisce che il titolo novativo della transazione è estranea al rapporto  di lavoro e ai relativi obblighi contributivi e per tale motivo si applica la sola aliquota Irpef.  

MASSIMA:«Quando in via conciliativa il titolo novativo viene sostituito al titolo retributivo, va esclusa ogni componente contributiva in quanto la transazione è estranea al rapporto di lavoro e si applica la sola aliquota Irpef».

Discriminazioni indirette sul luogo del lavoro

Una lavoratrice portatrice di handicap, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della l. n. 104/1992, ha diritto all’applicazione della specifica tutela dei disabili in materia di licenziamento. La ricorrente ha tuttavia ricevuto un trattamento identico a quello dei suoi colleghi e ciò genera un effetto discriminatorio, precisamente una discriminazione indiretta, per avere il datore di lavoro omesso di tenere in considerazione le specifiche problematiche di salute della ricorrente disabile. Ciò è in contrasto con l’obbligo generale del datore di lavoro di adottare le misure necessarie per la protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, nonché con l’obbligo specifico per la tutela del lavoratore disabile di prevedere soluzioni ragionevoli al disabilità del caso di specie. Pertanto, il giudice ha ravvisato gli estremi dell’illegittimità del licenziamento con conseguente ordine di reintegrazione nonché sul risarcimento del danno causato alla ricorrente.

MASSIMA: «Un trattamento sfavorevole basato sull'handicap va contro la tutela ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/78 che richiede sia garantita l’assenza di qualsivoglia discriminazione, da cui il diritto del lavoratore portatore di handicap alla rimozione degli effetti della discriminazione (nel caso di specie il licenziamento, da cui il diritto alla reintegra)»


La prova della ritorsivitá del licenziamento può essere data anche per presunzioni

Un dirigente, incaricato di sviluppare e gestire corsi triennali in un Istituto di formazione superiore, è stato licenziato per giustificato motivo oggettivo in vista della soppressione della posizione. Tuttavia, a distanza di un breve termine, l’azienda ha proceduto a nominare un nuovo Direttore Accademico, incaricato di svolgere le medesime mansioni del dirigente appena licenziato. Il ricorrente ha lamentato la nullità del licenziamento in quanto ritorsivo e pretestuoso, stante i precedenti diverbi tra le parti. Il Tribunale di Milano ha affermato che la prova del licenziamento ritorsivo -che deve essere data dal lavoratore- può essere raggiunta anche in via presuntiva sulla base dell’avvenuto logoramento dei rapporti fra i vertici aziendali ed il lavoratore e la nomina di un College Director appena successiva alla formale soppressione della posizione del ricorrente. Rilevano, in particolare, nel caso in questione, le e-mail ingiuriose dalla parte datoriale che «trascendono la normale dialettica che può caratterizzare l’attività lavorativa».

MASSIMA: «seppur onere della prova del licenziamento ritorsivo spetti al lavoratore, è possibile raggiungerla anche in via presuntiva sulla base dell’avvenuto logoramento dei rapporti di lavoro e della successiva e contestuale nomina di un diverso lavoratore chiamato a svolgere le medesime mansioni del soggetto licenziato»

In presenza di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo il datore di lavoro è tenuto a valutare possibilità di collocare il dipendente in altre posizioni lavorative

Un lavoratore licenziato per soppressione del posto di lavoro ha chiesto al Giudice del lavoro l’accertamento della illegittimità del licenziamento per violazione del cd. diritto di repêchage vista l’esistenza di altri appalti su cui egli avrebbe potuto essere ricollocato

MASSIMA: «il giudice di merito ha applicato il principio dell'onere della prova, ritenendo che la società convenuta, tenuta a dimostrare l'impossibilità del repêchage, non avesse assolto tale onere»



Diritto a percepire la retribuzione superiore precedente, a fronte di una riduzione illegittima

Il ricorrente per effetto di un cambio di appalto, che ha comportato il subentro di una nuova società, è stato trasferito in una differente residenza universitaria e soprattutto si è visto ridurre la retribuzione lorda mensile. La Corte d’Appello ha ritenuto illegittima tale riduzione facendo sorgere in capo al ricorrente il diritto a percepire una retribuzione pari a quella ricevuta prima dell’assunzione nella nuova società e ha condannato la società a pagare, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali la somma di € 2186,80 e, a titolo di risarcimento dei danni morali, la somma di € 5000.                                                                                 

MASSIMA: « il ricorrente ha diritto a percepire la retribuzione pari a quella ricevuta prima dell’assunzione nella nuova società, a seguito di una riduzione della stessa dichiarata illegittima dal giudice e ha diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e morali »

Il socio-lavoratore di cooperativa estromesso sia dalla cooperativa e sia dal lavoro, non ha diritto alla reintegra nel rapporto di lavoro

Una società cooperativa ha proposto ricorso contro il lodo arbitrale che aveva annullato la precedente delibera sociale volta ad escludere un socio-lavoratore. L’arbitro aveva statuito la ricostituzione di tutti i rapporti mutualistici preesistenti, ripristinando sia il rapporto associativo sia quello lavorativo in quanto - a suo dire - inscindibilmente connessi per le società cooperative di produzione e lavoro. Il Tribunale ha accolto il ricorso dal momento che la legge 142/2001 art.5, comma 2, prevede «solo che l’esclusione dalla società determini l’automatico scioglimento del rapporto mutualistico di lavoro, non anche la reintegrazione ipso iure in quest’ultimo per l’ipotesi in cui gli effetti della libera di esclusione siano inibiti per mano giudiziale», disponendo a favore del socio-lavoratore solo il pagamento di un’indennitá.

MASSIMA: «il socio-lavoratore che, illegittimamente, è stato escluso da una società cooperativa di produzione e lavoro con contestuale licenziamento, in caso di annullamento dell’atto non ha diritto ad essere reintegrato, ma solo ad ottenere un’indennità sostitutiva in quanto ai sensi di legge 142/2001 art.5, comma 2 non é prevista la reintegra del socio-lavoratore»

Non costituisce causa legittima di risoluzione del contratto di tirocinio la sopravvenuta inutilizzabilità del tirocinante

Un lavoratore, assunto in qualità di tirocinante a tempo determinato dal Comune di Milano e collocato presso un Istituto scolastico, ha adito con ricorso il Giudice del lavoro chiedendo di accertare la nullità del recesso ante tempus da parte dell’Istituto, il quale aveva addotto a fondamento della risoluzione anticipata del contratto la sopravvenuta impossibilità di utilizzare il lavoratore a seguito di una riorganizzazione interna nel periodo estivo. Il giudice ha accolto il ricorso in quanto la Convenzione di tirocinio stipulata tra il Comune e l’Istituto non prevedeva, fra le cause di recesso, una diversa riorganizzazione aziendale che rendesse inutilizzabile il tirocinante. Questi, infatti, non aveva violato alcuna norma disciplinare né erano a lui imputabili comportamenti che potessero pregiudicare il rapporto di lavoro. Pertanto, il recesso è stato  dichiarato illegittimo.

MASSIMA: «è illegittimo il recesso ante tempus da un contratto di tirocinio sulla base di valutazioni prognostiche relative alla logistica aziendale e all’impiego del tirocinante qualora non vi sia stata alcuna violazione disciplinare da parte dello stesso né vi sia stata alcuna previsione in tal senso da parte della Convenzione di tirocinio»


L’illegittimità del licenziamento causata dalla non attitudine del lavoratore allo svolgimento delle mansioni assegnate

Un lavoratore è stato licenziato dalla società in quanto considerato non più idoneo fisicamente allo svolgimento delle mansioni lavorative. Il CTU ha però dichiarato che, seppur si trattasse di un’infermità permanente, non era tale da rendere una definitiva e permanente inattitudine del lavoratore alle mansioni assegnate. Pertanto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento e ha condannato la società a risarcire il lavoratore a titolo di indennità, corrispondente all’ultima retribuzione, dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione.                                                                                  

MASSIMA: “la Corte ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento a fronte di una comprovata attitudine del lavoratore allo svolgimento della mansioni assegnate”

Inefficacia del licenziamento e diritto alla reintegrazione del lavoratore

Un lavoratore è stato licenziato oralmente senza alcuna spiegazione, a cui ha fatto seguito una revoca, che seppur tempestiva, era priva di efficacia in quanto i comportamenti del datore di lavoro e dei suoi famigliari indicavano un non interessamento alla riassunzione del lavoratore e dunque una revoca mancante di effettività. Pertanto, la Corte, accertata l’inefficacia del licenziamento orale, ha condannato il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria pari alle retribuzioni maturate dal licenziamento alla reintegra azione, detratto quanto già percepito.

MASSIMA: “la Corte ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento orale e il diritto alla reintegrazione per il lavoratore nonostante una revoca in quanto mancante di effettività”